Il flow nel nuoto - essere una cosa sola con l'acqua

Da un’intervista che ho condotto per Psicosport con Valentina Lobbia, ho avuto il piacere di esplorare la sua vita da atleta dal suo ingresso in vasca alla sua uscita dall’agonismo.

Quando è stata la prima volta in cui Valentina ha conosciuto il nuoto e cosa le ha fatto dire “questo è il mio sport”? 

È davvero un tuffo nel passato ed è bello, perché a volte ci si dimentica da dove si è partiti. All’età di quattro anni, i miei genitori mi portarono in vasca perché avevo dei problemi alla schiena, ero magra, volevano insegnarmi a nuotare. Sono entrata in acqua e non mi è piaciuto per niente: la odiavo, era fredda. Poi ho continuato, scoprendomi invece acquatica, non ho mai fatto un corso di nuoto e sono passata direttamente in pre-agonistica, a cinque anni! Ricordo che mi misero nel gruppo di mio fratello, che aveva sette anni in più, partivo per ultima e questa cosa non la potevo sopportare, perché mi salivano tutti addosso. Tornavo a casa disperata. Io volevo partire prima e non ultima. È nato tutto da lì, i miei genitori compresero che era la mia strada, così come il mio allenatore, e mi spostarono subito in una squadra più forte”. 

La prima gara, la prima volta in cui un’atleta si trova a fronteggiare l’ansia, quei pensieri che assalgono la mente nelle ore precedenti alla competizione e quando finisci ti fanno dire “io voglio continuare su questa strada”, la prima volta che inconsapevolmente incontri la motivazione intrinseca a perseguire quell’obiettivo. 

Mi ricordo un campionato avevo sette o otto anni, esordiente B; entrai in acqua e volevo vincere. La mia prima gara importante e volevo fare bene, e vinsi. Da lì ho capito che mi piaceva vincere, che volevo migliorarmi, peraltro molto semplice in questo sport, quando si è giovanissimi. I pensieri che ricordo sono molto positivi: entrai in acqua e mi dissi che volevo vincere e battere tutte, volevo salire sul podio. Questa era la mia mentalità a sette anni e così è stata sempre… Diciamo che allora l’ansia non mi giocava dei brutti scherzi, prendevo le cose con molta più spensieratezza, senza aspettative, sono state le mie gare più belle”. 

Quali sensazioni pervadono un’atleta nelle ore precedenti alla competizione? 

Il sentimento che si prova nell’affrontare un campionato assoluto è piuttosto travagliato. A parte la voglia di gareggiare, di fare bene, è un momento di estrema apprensione. È sempre stato il mio punto debole. Se da un lato l’ansia da competizione mi ha aiutato, dall’altro mi portava a volte a non dare il meglio di me. Sicuramente le sensazioni che precedono una competizione sono principalmente l’ansia e la paura di affrontarla e di non fare bene; di non riuscire ad avere delle buone prestazioni, a ottenere un buon risultato, questo il sentimento che ha caratterizzato, per certi versi, le mie competizioni”. 

Quali strategie aiutavano Valentina ad affrontare quella gara dicendo “ce la posso fare”, affinché quell’impulso diventasse strumento utile a scendere in vasca e dare il meglio di sé? 

Mi aiutava molto la visualizzazione della gara. Dopo il riscaldamento e prima della competizione c’era un lasso di tempo entro cui potermi isolare e nel quale immaginarmi la gara, a occhi chiusi: mi sdraiavo mentre facevo stretching, in un angolo con la mia musica a raffigurarmi la competizione dall’inizio alla fine. Dalla pre-chiamata ai blocchi di partenza, visualizzavo tutto ciò che avrei voluto si realizzasse in gara, anche le parti negative: lo sbaglio della partenza, la disattenzione nella virata, l’ipotetico errore di un arrivo. Io facevo gare corte, quindi bisognava sapersi concentrare per affrontare al meglio i minimi particolari. Calmare l’ansia per tirare fuori il meglio di me”. 

Ci sarà stata una vittoria e un risultato negativo, nel periodo agonistico di Valentina, che più di altri si ricorda? 

Sicuramente per quanto riguarda la vittoria, fortunatamente ce ne sono state numerose e importanti per me: le medaglie dei campionati italiani di categoria e gran parte delle finali agli assoluti. Sfide avvincenti che restano i ricordi migliori delle competizioni cui ho partecipato. Di sconfitte ce ne sono state molte, anche ad alto livello purtroppo, una in particolare in un campionato italiano assoluto, che ricordo con particolare dispiacere. Mi ero preparata bene, avevo ottime sensazioni, ma non è andata come speravo”. 


In quella sconfitta, che ha pesato più delle altre, come si è rialzata la nostra atleta? 

Con molta difficoltà. A volte quando si perde, quando ci si è preparati con tanta fatica e si arriva a un risultato negativo in una competizione importante, il periodo che segue è molto difficile. Sono giorni ricchi di sensazioni negative, in cui però le persone, i compagni di squadra, svolgono un ruolo fondamentale emotivamenteAiutano a superare questi momenti di difficoltà. Anche il ruolo dell’allenatore è fondamentale all’interno del percorso, è quello che ti riporta in carreggiata per tornare a fare bene. Ho avuto la fortuna di avere al mio fianco uno psicologo sportivo, un grande team che mi ha supportato nei momenti di sconforto, tante figure di riferimento a cui aggrapparmi nei momenti difficili. Dallo psicologo, all’allenatore, alla mia famiglia e i compagni di squadra”. 


Quale linguaggio utilizzava per aiutare Valentina a rialzarsi, chi era intorno a lei e si occupava di supportarla e accompagnarla nel bene e nel male? 

Io non ho un carattere semplice come atleta, sono perfezionista, ancora adesso che non nuoto più. Sono competitiva da quando ero molto piccola e quindi sia il mio allenatore, che il mio psicologo, hanno dovuto capire bene la mia testa, prima di trovare la giusta strada. Non con troppa leggerezza, né con troppa fermezza. Il mio allenatore aveva un modo tutto suo per affrontarmi e per tirare fuori il meglio di me. Ero davvero un osso duro, quando le cose non andavano come volevo e dicevo io anche in un semplice allenamento, entravo nello sconforto perché dovevo dare sempre il 100% in ogni occasione. Lui lo sapeva e sapeva che questo poteva essere un mio limite, perché se è vero che a volte in allenamento puoi dare il 100%, non è detto che poi l’impegno ti ritorni nella stessa misura. Non sempre si riceve quello che si aspetta, non bisogna confondere le aspettative con la realtà. Lui mi dava una mano a vedere le cose lucidamente, quelli che erano gli aspetti positivi e non solo il lato negativo che magari in quel momento prendeva il sopravvento ed era più evidente ai miei occhi. Il mio allenatore e il mio psicologo riuscivano a mostrarmi in maniera più chiara e obiettiva la situazione”. 


Non solo l’allenatore ma anche lo psicologo sembra avere avuto un ruolo portante.

Ho imparato a conoscermi, con almeno dieci anni di percorso psicologico in cui ho appreso a comprendere i miei limiti e i miei punti di forza. Mi conosco molto bene e questo è un pregio, anche adesso. Fondamentale. Nella vita, conoscersi e avere coscienza dei propri limiti aiuta moltissimo”. 

Arriva per ognuno il momento in cui tutto viene messo in discussione e non si sa se mollare o andare avanti.

cosa e chi le hanno fatto cambiare idea?

I momenti in cui ho voluto smettere di nuotare sono stati tantissimi. Ci sono stati anni in cui i risultati non arrivavano e per quattro/cinque ore al giorno sei comunque in acqua ad allenarti e far fatica, a migliorarti. Sono stati gli anni dell’adolescenza, periodo non facilissimo, quando il corpo cambia e muta anche in acqua. Io sono una ragazza abbastanza alta e cinque centimetri in più, cambiano anche le situazioni in acqua, che comportano il fatto di non sentirla più in un certo modo e non ottenere più i risultati precedenti. Questo è stato uno dei periodi difficili nei quali avrei voluto smettere di nuotare, poi devo dire grazie alle figure di riferimento e all’allenatore, che hanno cercato una via che mi facesse vedere, a partire dal negativo, il lato positivo, spronandomi a tirare fuori il carattere e la voglia di provarci e di continuare, perché era quello che volevo. Altre delusioni e gare fallite, sicuramente hanno portato negatività e a volte mi sono chiesta perché andare avanti… Poi grazie a loro sono ho trovato la forza di continuare e mi sono rialzata. Cadere è bruttissimo, vedersi nel buio e non percepire la luce quando si ha dato una vita per questo sport. Quando poi inizi a vedere la luce è una sensazione pazzesca, non potrò mai dimenticare quell’emozione.” 

Si parla di cambiamento dell’aspetto fisico, quel periodo per una ragazza che diventa donna, è un aspetto molto importante e parlando di nuoto, sicuramente il fisico si trasforma in maniera maschile.

Come impattano questi mutamenti fisici non sul piano tecnico, ma personale? Quali sacrifici ha dovuto sopportare Valentina e con quali motivazioni li ha superati? 

Ho avuto un momento nell’adolescenza in cui non mi riconoscevo, passavo dal fisico di una ragazzina, una bambina spensierata, in cui avevo già avuto molte soddisfazioni natatoriamente parlando. Mi sono ritrovata dall’oggi al domani, dall’essere senza forme all’essere cambiata fisicamente, ma anche mentalmente. Non è facile trovarsi in un corpo diverso, lavorare in un fisico che non senti neanche tuo… Passi dall’essere ragazzina senza forme, ad essere una donna. Mentalmente non è stato facile, non ho avuto problemi alimentari, ho sempre accettato il mio corpo, nonostante il nuoto lo formasse in maniera mascolina. Questo perché mi sono sempre piaciuta, ho subìto tantissimo la parte mentale, accompagnata da dubbi e incertezze. Mi sono sentita spesso persa. Non ho mai sofferto a livello puramente fisico, ma a livello mentale sì”. 

Sicuramente un importante ruolo di supporto l’hanno ricoperto le figure accanto a Valentina; l’allenatore è stato capace di comprenderla, anche aldilà dell’aspetto tecnico e questa è stata una sua grande fortuna.

Come cambiano i rapporti con i diversi trainer e ce n’è uno che si è portata dietro nella sua carriera?

Ne ho cambiati tanti, ho avuto la fortuna di non avere mai avuto cattivi allenatori, chi più bravo e chi meno, ma sicuramente mi è andata bene. Il mio primo allenatore è stato anche l’ultimo ed è stata la mia salvezza, perché una delle gare migliori della mia vita è capitata alla fine della carriera. Ci siamo rincontrati dopo un mio anno di pausa, due anni prima di finire di nuotare, come se fosse la mia prima volta a cinque anni quando feci il provino con lui nella squadra di cui parlavamo all’inizio. Mi ha presa nello stesso modo. Sono stati gli ultimi due anni della mia carriera sportiva, in cui entrai nelle prime venti performance di tutti i tempi in Italia. Fu la mia gara più bella e la dedico a lui, una delle più belle che abbia mai fatto e soprattutto dopo un anno di stop. La mia testa andò solamente verso la voglia di tornare in acqua, divertirmi e non pensare ad aspettative e risultati. Lui fu una grandissima presenza, fondamentale”. 

Noi parliamo di flow, un coinvolgimento totale in quello che si sta facendo, dove ci sei solo tu e nient’altro, non c’è fatica, non ci sono pensieri e sei totalmente immerso nella tua performance. Questa gara era il flow di Valentina?

Cosa fa Valentina oggi? 

Ho studiato scienze motorie mentre nuotavo, ho sempre studiato, con l’obiettivo di lavorare con le persone in ambito sportivo. Ho studiato per questo e ci sono riuscita. Opero a stretto contatto con le persone, i loro obiettivi diventano i miei e cerco sempre di ricordare loro dove vogliano arrivare, quando si perdono. Cerco di mettere in evidenza quello che è alla base del miglioramento: la costanza, la voglia di crescere, non solo fisicamente, ma mentalmente. Lo sport ti forma dal punto di vista fisico, ma soprattutto mentale e io cerco di fare in modo che le donne con cui lavoro possano accettarsi e migliorarsi, perché spesso hanno poco tempo e lo devono sfruttare bene per loro stesse. Ciò che ho imparato dallo sport, lo attuo adesso nel mio lavoro”. 


Valentina ci ha fatto entrare in acqua con lei, ci ha trasmesso tutto quello che si nasconde dietro e dentro un atleta di alto livello. Ciò che non vediamo e che a volte costituisce la sfida e la gara più grande, più difficile, che un atleta deve affrontare: quella con se stesso. 

Grazie per averci fatto capire quanto la sfera mentale incida sulla performance fisica, quanto queste due componenti siano imprescindibili e quanto sia fondamentale chi sappia accompagnare l’atleta, non solo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto psicologico. 

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